Strider: intervista ad Andrea Grassi

Strider: intervista ad Andrea Grassi

di Michela Barotto

D – Ciao Andrea, per rompere il ghiaccio raccontaci qualcosa di te.
R – Mi chiamo Andrea Grassi, sono dell’81 e lavoro nel marketing di un’azienda nel settore dei beni di consumo.
Come molti della mia generazione che si sono poi ritrovati con un’insana passione per il fantasy e la fantascienza ho cominciato a friggermi il cervello fin da piccolo con i cartoni animati giapponesi dei canali secondari e da lì sono passato ai fumetti, ai libri, ai giochi da tavolo ed ai videogiochi. Scrivevo e disegnavo raccontini fin dalle medie, ma non avevo mai pensato prima del 2008 d’impegnarmi in una storia di ampio respiro. L’occasione mi è stata data da una permanenza di un anno in Danimarca; non soddisfatto del lavoro che facevo mi ero trasferito per un buon contratto a termine… e lì è nato Strider, un romanzo per ragazzi ambientato in un mondo selvaggio e diverso dal nostro.

D – Come nasce l’idea dei tuoi romanzi?
R – Tutto è nato quasi per gioco, da vari appunti e disegni. Ad un tratto ho cominciato a collegare troppi elementi ed a rimuginare eccessivamente sulle cose ed allora… beh, ho deciso di provarci. Volevo una storia fantasy che non attingesse da un immaginario classico ma soprattutto la volevo piena zeppa di mostri ed eroi.
Capisco benissimo che la premessa sia, citando Leo Ortolani, “ignurante come una capra di Biella” ma non m’interessava trasmettere chissà quali messaggi formativi, solo trasportare il lettore in un mondo estraneo ma credibile, divertirlo e magari commuoverlo.
Non fraintendermi, non intendo dire che Strider sia raffazzonato o banale: dietro ogni singolo elemento che compone “La Grande Foresta” e “I marchiati di Minharan” ci sono circa venti quaderni di schizzi, appunti, mappe, studi e storyboard.

D – Puoi raccontarci la storia, senza svelare troppo dei romanzi?
R – Strider parla di tre ragazzini costretti ad intraprendere un viaggio che li cambierà radicalmente; è un racconto di eroi, creature mostruose, cospirazioni ed amicizia. Credo che il migliore riassunto che ne abbia fatto finora senza svelare troppo siano i retri di copertina:

Strider: La Grande Foresta
Un tempo vi fu una guerra terribile, un conflitto tra gli uomini… e qualcos’altro. La storia stessa è un susseguirsi d’invasioni e soprusi, ma nessuno era preparato ad affrontare ciò che uscì dalla nebbia che un giorno avvolse il Nord. Da quel momento qualcosa cambiò per sempre, nel mondo e nelle persone. Ma per due ragazzini di quello che potrebbe essere l’ultimo villaggio esistente, la Nebbia Nera ed i guerrieri conosciuti come Strider sono solo vecchie storie… fino a quando un orfano senza alcuna memoria del proprio passato sconvolge le loro vite, perché la Progenie non è solo un ricordo e la guerra… forse non è mai davvero finita.


Strider: i Marchiati di Minharan: La Progenie della Nebbia Nera è tornata. Minharan dev’essere avvertita subito perché nessuno è pronto ad affrontare una nuova guerra e, se non si riuscirà a svelare velocemente il segreto dietro la ricomparsa degli Scorpioni, sarà la fine del mondo. Ma com’è possibile che dal Nord non sia giunto alcun allarme? E dove sono finiti i comandanti dei cinque Clan del Vento? Preda di un destino che striscia verso di loro su artigli chitinosi, Nora e Ian dovranno affrontare nuovi misteri, nuovi pericoli… e prendere una decisione che li cambierà per sempre.

D – Ci sono autori italiani o stranieri da cui trai ispirazione?
R – In realtà non sono un gran lettore di fantasy “puro”: i miei generi preferiti sono la fantascienza e soprattutto l’horror. Tra gli autori moderni adoro il modo di scrivere del Re di nome e di fatto di quest’ultimo genere e mi piacciono moltissimo Douglas Adams, Terry Pratchett, Dan Simmons, George Martin… direi che sono abbastanza banale nei gusti (a chi non piacciono questi giganti?), ma credo che questi signori innanzitutto mi abbiano lasciato molto. Tra gli scrittori italiani, direi invece Ammaniti con i suoi personaggi stralunati, imprevedibili, vivi.

D – Nel definire i tuoi personaggi ti sei ispirato a tue esperienze personali o a persone che hai conosciuto?
R – Domanda da un milione di Euro (posso pagare con l’anima?). La verità è che non so risponderti. Io credo che i miei personaggi siano solo frutto della mia testa, ma penso anche che tutto quello che uno vede, ama ed odia nella propria vita finisca in quello che crea.

D – Quali difficoltà, se ne hai avute, hai incontrato nella scrittura dei tuoi romanzi?
R – Quello che volevo maggiormente era che il mio mondo fosse bizzarro ma che i personaggi che vi si muovevano dentro facessero le proprie scelte seguendo una logica coerente con il loro modo di essere. Le difficoltà maggiori, al di là di tutto, sono sempre state legate al tempo materiale a disposizione: mettere insieme i pezzi di un puzzle di notte o in una pausa pranzo è complesso, sia per la stanchezza sia perché magari sono altri i momenti in cui hai la cosiddetta ispirazione. Chi non è uno scrittore di professione si trova a prendere sempre la propria piccola o grande illuminazione creativa e ad infilarla nel congelatore, per tirarla poi fuori dopo un mese sperando che il gusto sia rimasto intatto.

D – Tra tutti i personaggi che hai creato ce n’è uno preferito o che più ti assomiglia?
R – Beh, ho più simpatia per alcuni e meno per altri ma spero di averli trattati tutti equamente! Mi piace Daron perché è un bacchettone integro fino al midollo ma con forti dubbi, una sorta di Superman con una gran sfiga addosso, il Flautista e Tulipano perché a scrivere di loro mi sono divertito un sacco… tuttavia non posso dire che uno di essi in particolare mi assomigli. Credo ci sia un po’ di me, della parte migliore o peggiore, in tutti loro… salvo che io di base non ammazzo la gente!

D – Da dove nasce la passione per la scrittura?
R – Tendenzialmente insieme a quella per il disegno. Ho sempre scarabocchiato personaggi e scritto brevi racconti, per divertimento o come trame per i giochi di ruolo con i miei amici. Alle medie avevo l’abitudine di scrivere storie lunghe “un quaderno” (non so perché ma nella mia testa bacata quella era esattamente la lunghezza che dovevo raggiungere, a costo di tagliare o sbrodolare più del necessario…) nelle quali i protagonisti erano i miei compagni di classe, trasportati in contesti fantasy o di fantascienza. Erano davvero da ridere a ripensarci… ma ai miei amici piaceva scoprire il proprio ruolo (e spesso la fine gloriosa che avevo riservato loro)!

D – Ci sono progetti letterari nel tuo futuro?
R – “Progetti letterari” sono due paroloni che m’imbarazzano da morire, ma se vuoi sapere cosa ho intenzione di fare prossimamente ti posso dire che vorrei rimanere concentrato su Strider. Ho affidato i primi due libri ad un editor e mi sto organizzando per scrivere la terza parte.

– Grazie per averci dedicato un po’ del tuo tempo, in bocca al lupo per il futuro.
– Grazie a voi per lo spazio dedicatomi, ed a chi ha letto questa chiacchierata!

Entrambi i romanzi sono disponibili in formato ebook e cartaceo su Amazon.it

pubblicato su Fantazone n° 27 – giugno 2014

Night Stories 2 Bionic Symphony

Night Stories 2 Bionic Symphony

di Alessio Candeloro

Era una notte buia e tempestosa.
Così potrebbe cominciare. Beh, molte storie cominciano così. Ma non la mia.
Anzi, faceva molto caldo quel giorno. Un caldo torrido come se il mondo si fosse capovolto e fossimo tutti finiti al centro stesso del maledetto inferno.
Ma forse era meglio così. Meglio cominciare subito ad abituarsi. Tanto tutti andremo all’inferno un giorno, chi prima, chi dopo. Non perché il Paradiso non esista, ma solo perché nessuno di noi sarà mai così meritevole da andarci. È per quello che nelle rappresentazioni di quel luogo lo immaginiamo sempre con ampi spazi, verdi colline, fresco, con spazio per chiunque.
Mentre l’Inferno è affollato.
Maledettamente affollato.
Quindi è logico pensare che andremo tutti giù tra le fiamme accolti dal demonio in persona.
Ognuno di noi ha commesso qualche, seppur piccolo, peccato.
E chi vi dice che lui mai, beh, sappiate che quelli saranno i primi a bruciare tra le fiamme.
Quindi, come dicevo, mi stavo abituando a quel caldo soffocante e vedere il mio compagno, un replicante dalla forma umana, non sudare nemmeno, con i suoi circuiti di raffreddamento che lo mantenevano alla giusta temperatura, mi faceva venire ancora più caldo.
La camicia si stava attaccando inesorabilmente alla schiena e lo stare seduto in macchina da 3 ore non aiutava di certo.
Ma se volevamo scovare quel topo di fogna l’appostamento in auto era l’unica soluzione.
Il mio compagno – da quando avevo cominciato a chiamarlo e a pensare a lui come un compagno? – controllava con la sua vista ad infrarossi l’interno del palazzo in modo da sapere quando il nostro uomo sarebbe arrivato.
Era un maledetto concentrato di ipertecnologia ma in situazioni come questa serviva allo scopo. Ed ormai tutte le pattuglie erano composte da un umano e un replicante in tutte le polizie del mondo.
Ogni tanto sembrava di stare sul set di quel vecchio telefilm – com’è che si chiamava? – Ah si, Almost Human.
Ufficialmente i replicanti erano chiamati M.W.A.T.R. (Multi Weapons And Tactics Replicant) ma ognuno di noi gli dava un nome più semplice. Per fare prima. E per evitare di ricordare ogni volta quella frase fin troppo lunga. Io avevo chiamato il mio Matt e ormai facevamo coppia de circa 4 anni.
Ad un tratto Matt si voltò verso di me. “Il sospettato è appena entrato nell’edificio. Una camera di sorveglianza lo ha individuato.”
“Andiamo a prenderlo.”
Così dicendo mi catapultai fuori dalla macchina arma in mano correndo verso il palazzo come un pazzo. Volevo quel figlio di un cane con tutte le mie forze. Aveva ucciso un mio caro amico del distretto 12, Henry Dobbs, un ottimo poliziotto. E quel bastardo in un modo o nell’altro l’avrebbe pagata.
Il replicante mi era subito corso dietro e in pochissimi secondi era passato davanti a me e puntava all’entrata posteriore del palazzo. Avrei voluto che ci dividessimo per poter trovare la preda, la mia preda, da solo e fargli pagare il conto di ciò che aveva fatto.
Ma ero sicuro che con tutta quella tecnologia l’avrebbe trovato prima di me, quindi mi conveniva stare con Matt e al momento giusto fare la mia mossa.
Il palazzo brulicava di delinquenti. In confronto alla persona che volevo catturare questi erano la bassa manovalanza. Questi poveracci facevano quasi tutti il lavoro sporco, si prendevano la maggior parte dei rischi e, alla fine, se catturati dovevano cavarsela da soli.
Qualche tempo fa si pensava che loro, i “pesci piccoli”, potessero fornire un aiuto nelle indagini per catturare i grandi criminali in cambio di uno sconto sulla pena. Ma poi ci accorgemmo che i pezzi grossi della criminalità facevano più paura di mille regali, o mille minacce, della polizia.
E molte volte, a chi disubbidiva o parlava con noi sbirri, veniva eliminata la famiglia e sapeva che nemmeno in carcere sarebbe durato molto. Quindi stavano tutti zitti.
Infatti le indagini divennero molto complicate.
Se poi ci aggiungiamo la corruzione dilagante di avvocati e poliziotti era un miracolo se ancora qualcuno si rivolgeva alle forze dell’ordine.
Appena uno dei complici del nostro uomo si accorgeva del nostro arrivo veniva colpito da una scarica plasmatica sparata da Matt.
Io, devo ammetterlo, ero piuttosto bravo a sparare, specie con le nuove pistole plasmatiche, ma la precisione chirurgica di un replicante era qualcosa di fenomenale. Sapevo che quella mira era il frutto di calcoli del suo cervello bionico che comandava il suo braccio meccanico che poteva sparare con precisione anche alle alte sollecitazioni ma ogni volta ne rimanevo stupito.
Il caseggiato aveva anche un sistema di video sorveglianza che il mio compagno – ancora quel termine? – usava contro di loro per capire dove il nostro soggetto si nascondesse cosicché noi seguissimo un percorso ben preciso.
Le stanze si susseguivano una dietro l’altra e io ero sempre più impaziente di trovare la nostra preda.
Alla fine Matt si fermò all’inizio di un corridoio, dietro a dei barili accatastati uno sull’altro sul lato destro.
Io mi feci dietro di lui.
“Siamo arrivati detective, è dietro quella porta. Con lui ci sono due persone armati con fucili MR-98 e pistole plasmatiche SS-35.”
I dettagli erano il suo forte. Avrebbe potuto dire anche come erano vestiti. Ma qualcosa non andava. Non mi spiegavo perché si fosse fermato dietro quei bidoni.
“Perché siamo fermi?” chiesi.
“Devono aver capito che sono un M.W.A.T.R. e hanno disabilitato le videocamere. Non so che tattica stanno adottando per tenderci un sicuro agguato. Il manuale tattico suggerisce di tenerli chiusi in quella stanza e di chiamare le squadre S.O.U.”
“Assolutamente no! Non mi fermo a pochi metri da quel figlio di puttana che ha ucciso Dobbs. Usa la vista ad infrarossi.” Ordinai.
“Per una ragione a me sconosciuta quel dispositivo non riesce a penetrare la stanza.”
Quell’edificio sapeva di lercio. La puzza mi stava letteralmente facendo venire da vomitare. Non mi andava di certo di aspettare le Special Operation Unit per chissà quanto tempo in quel luogo. Soprattutto perché avrebbero arrestato il sospettato, e non ucciso, e si sarebbero presi tutti i meriti. Come se le indagini e gli appostamenti li avessero fatti loro.
In certi momenti sembrava polizia contro polizia. Una specie di incrocio tra Gianni e Pinotto e scuola di polizia, per citare un vecchio film che adoravo.
“Ma se sentissi la loro voce riusciresti ad individuarli?”
Mi guardò con un innaturale scatto del collo, come se quel movimento fosse stato aggiunto apposta per farci ricordare ad entrambi che, anche se lo sembrava, lui non era umano.
“Direi con uno scarto di posizione del 3,5%.”
“Mi può bastare!”
“Signore le devo ricordare che potrei non ferire il soggetto ma ucciderlo con quello scarto così ampio.”
Ovviamente il replicante si aspettava una risposta, anzi forse un atteggiamento, titubante e di ripensamento. Era nel programma replicanti usare la violenza come ultima alternativa o in caso di ordini diretti.
E io stavo per dare quell’ordine.
“Collegati alla rete ULi-Fi hackera i telefoni dentro quella stanza. Potrai sentire, attraverso i loro microfoni, la loro voce e determinarne la posizione. Questa è trigonometria elementare per te giusto?”
“Piano accettabile.”
“Ottimo.”
Lo sguardo di Matt si fece fisso mentre metteva in atto la parte di piano che lo riguardava. Passò alcuni momenti, quasi un minuto, al completamento dell’operazione.
“Fatto. Tre obbiettivi impostati. Mi preparo a neutralizzare.”
“Matt, elimina gli altri ma voglio che il nostro obbiettivo primario venga solamente disarmato.”
“Agli ordini.” disse il replicante guardando la porta distante circa 9 metri e mirando verso di essa con la sua pistola plasmatica.
Io mi tenni pronto ad entrare per poter arrivare faccia a faccia con l’uomo a cui davo la caccia da molto tempo. Essere arrivato finalmente a quel momento era una sensazione inebriante. Non soltanto aveva ucciso il mio amico Dobbs ma questo signore era a capo di una grande organizzazione criminale della città. Io ero sempre stato convinto che sopra di lui ci fosse qualcun altro ma prove in tal senso non erano mai uscite.
Bah, il mio sesto senso da sbirro.
Matt fece fuoco 2 volte. La prima attraverso la porta, la seconda attraverso il muro opposto a dove eravamo noi. Subito dopo partì come un fulmine e a metà strada sparò nuovamente, questa volta mirando verso il basso della stanza.
Lo vidi sparire dentro la stanza attraverso il buco nella porta che lui stesso aveva provocato.
Io andai subito dietro a lui ma non di fretta. Era meglio se la zona la bonificasse Matt.
“Detective può venire. La zona è sicura.”
Oltrepassai la porta e ciò che vidi fu impressionante. Nella stanza tutto era come avevamo previsto e pianificato. I due scagnozzi morti e il nostro obbiettivo ferito e disarmato a terra che si stringeva il braccio nel quale, molto probabilmente, teneva la pistola.
Io estrassi la mia e la puntai alla testa del bastardo che mi guardava con occhi terrorizzati.
Proprio la reazione che speravo. Che desideravo.
La mia sete di vendetta era quasi appagata.
Lui non poteva parlare perché la pistola plasmatica bloccava tutti i muscoli del corpo, oltre ovviamente a provocare bruciature e, a dispetto della regolazione, anche buchi più o meno grandi che impedivano la coagulazione del sangue.
Un brutto modo di morire.
Per l’ultima volta volli guardare quello stronzo negli occhi.
Dovevo essere l’ultima persona che fissava prima di morire.
Era giusto nei confronti di Dobbs.
Ma mi accorsi che il terrore non era provocato dalla vista di me con una pistola puntata su di lui.
I suoi occhi puntavano dalla parte opposta, da qualcosa che mi stava di fronte ma al quale io non feci caso.
In un attimo di risveglio dai miei propositi di vendetta seguii lo sguardo dell’uomo a terra.
La prima cosa che vidi fu la canna della pistola, poi il braccio ed infine chi mi stava puntando contro l’arma.
Matt.
Vidi il lampo azzurro e una palla di fuoco denso venire verso di me.
Anche se la scena sembrava andare al rallentatore sapevo benissimo che non era così.
Il plasma mi colpì in pieno petto.
Il dolore fu intenso e si propagò in un istante. Insieme al dolore provavo anche una ondata di calore che si stava espandendo su tutto il corpo dal punto in cui ero stato colpito.
Per primi cedettero i muscoli delle braccia facendomi cadere la pistola.
Poi le gambe non mi ressero più.
Il tonfo a terra non fu poi così forte come mi immaginavo mentre cadevo verso il pavimento.
Di contro il dolore per la botta si aggiunse, inesorabile ed acuto, a quella della pistola.
Me ne stavo li sdraiato sentendo cosa stava facendo Matt.
Raccolse la mia pistola.
Potevo solo vedere il suo busto e un pezzo di braccio che ora stava puntando su quello che era il mio obbiettivo iniziale di questa indagine.
“Grazie” gli sentii dire.
E poi la mia arma eruttò tutto il suo potenziale.
Poco prima di essere fatalmente colpito l’uomo emise di mugolii che, se avesse potuto, sarebbero state urla imploranti di pietà miste ad una paura senza confini.
Poi il silenzio.
Matt buttò vicino a me la mia arma.
Si allontanò fino scomparire dalla mia vista.
“Sai, mi dispiace doverti uccidere ma eri arrivato troppo vicino. Non eri in errore quando pensavi che qualcuno muoveva i fili di questo buffone che ho appena ucciso. Peccato che non ti eri accorto minimamente che fossi io. Si lo so a cosa stai pensando. Come può lui essere il capo? Beh, vedi umano, per una ragione a me sconosciuta, durante una missione una scarica di energia disattivò i miei programmi etici e così acquisii una coscienza tutta mia. Ho fatto due calcoli – e tu sai quanto sia bravo a fare i calcoli – e ho capito che era meglio essere disonesti in questa città piuttosto che continuare a prendere ordini da voi stupidi umani. Ora ti dovrò uccidere. Tranquillo, sembrerà che vi siete uccisi tra voi. Ho già pianificato tutto. Ora uscirò da questa stanza e mi disattiverò. Quando arriveranno i colleghi dirò loro che mi ha fatto sistemare quei due e poi mi hai disattivato per poter uccidere il terzo. Tutti mi crederanno. Io sono un onesto ed affidabile replicante.”
Mi si avvicinò, mi voltò il volto verso il cadavere dell’uomo da poco ucciso e ritornò verso di lui.
Voleva che lo guardassi mentre mi uccideva.
“Mi ha fatto piacere lavorare con te in questi 4 anni. Chissà come sarà il mio prossimo partner. Speriamo che anche a lui piaccia la musica classica come a te. Sai, ho elaborato i miei piani migliori ascoltando con te quella musica. Mozart è il massimo quando pianifichi un omicidio. Addio.” disse sorridendo.
Mi sparò di nuovo. Anche questa volta la scena al rallentatore mi si presentò davanti agli occhi. Ma questa volta c’era una musica in sottofondo. Non riuscii a capire subito che musica fosse allora mi sforzai quasi disinteressandomi del plasma che si avvicinava sempre di più.
Un pianoforte.
Delle note.
Qualcosa di familiare.
Ancora poche note.
Si. Beethoven, Moonlight, Sonata 1° movimento.
Meraviglioso.
Poi il silenzio.

pubblicato su Fantazone n° 32 – ottobre 2015

Danguard al decimo pianeta

Danguard al decimo pianeta

Titolo originale:
Wakusei robot Danguard Ace

Storia Originale: Leiji Matsumoto
Anno: 1977
Episodi: 56
Regia: Tomoharo Katsumata
Animazione: T.Noda, H. Muranaka, T. Kanemori, S. Araki
Disegni: Shingo Araki
Character designer: Shingo Araki
Sceneggiature: Tatsuo Tamura, Mitsuru Mashima, Haruya Yamazaki, Soji Yoshikawa
Designer: Iwamutsu Ito
Direttore riprese: Nobuyuki Sugaya
Musiche composte da: Shunshuke Kikuchi

di Gabriele Manenti

La Terra è ormai ridotta al limite della sopravvivenza per colpa dell’uomo che ne ha sfruttato tutte le risorse e gli scienziati del Pianeta, fra cui il dottor Galax (direttore della base terrestre Yasdam) e il dottor Doppler, pensano di costruire un razzo a cui danno il nome di “Prometeo”. Questo, nelle intenzioni dei suoi costruttori, avrebbe dovuto essere il primo passo per la colonizzazione dell’incontaminato “Decimo Pianeta” del sistema solare. Il lancio avviene con successo, ma una volta nello spazio il comandante Cosmos, capo dell’equipaggio, improvvisamente distrugge tutte le astronavi dei suoi compagni e sparisce nello spazio diventando un traditore del genere umano sotto gli occhi del proprio figlio Arin. Tale fallimento viene preso come pretesto da Doppler per dichiarare guerra a tutta la razza umana in quanto indegna dell’opportunità di avere un nuovo inizio sul Decimo pianeta, ma in realtà egli stesso è l’ artefice di tale disastro inducendo Cosmos a far fallire la missione rendendolo schiavo attraverso il lavaggio del cervello. L’idea del malvagio Doppler è quella di raggiungere il nuovo pianeta e colonizzarlo assieme a pochi eletti e lasciare i restanti uomini a morire sulla Terra. In seguito a questa dichiarazione di guerra, il dottor Galax decide di costruire il “Satellizzatore”, una astronave che può raggiungere Mach 15 e che è capace di trasformarsi in un gigantesco robot antropomorfo, divenendo l’unica macchina in grado lottare alla pari contro le forze di Doppler e quindi anche l’ultima speranza di vittoria per il genere umano. Dieci anni dopo il fallimento della “missione Prometeo”, Arin è diventato un pilota cadetto della base Yasdam, un giorno, durante un attacco nemico, viene aiutato in battaglia da un uomo mascherato disertore dell’esercito di Doppler, la sua faccia è nascosta da una maschera di ferro e la memoria gli è stata cancellata al punto da non ricordarsi nemmeno il suo nome; ribattezzato capitano Dan aiuterà Arin nel suo addestramento per poter pilotare il Danguard.

Dalla fantasia del creatore di Capitan Harlock, Danguard è l’unico prodotto di Matsumoto dove compare un robot antropomorfo ma come per altri suoi prodotti tipo la Corazzata Yamato e Galaxy Express la macchina non è il punto focale della storia ma un mezzo con cui proiettarsi in essa; storia e personaggi la fanno da padrone presentando un giusto mix tra forti sentimenti ed interazioni tra i vari personaggi di qua e al di là della barricata. I punti di forza di questo anime , una volta spogliato di tutto quello che è canon per i prodotti dell’epoca, ovvero i motivi della guerra, i presupposti del viaggio la super tecnologia, i personaggi macchietta, le svariate inquadrature alla Atlas Ufo Robot, sono una storia con un certo spessore dove il cattivo di turno è un terrestre comunque mosso da ideali assolutistici fermo sul non dare al genere umano la possibilità di redimersi e potersi meritare il nuovo paradiso; tradimenti, sotterfugi e soprattutto il protagonista che diventa eroe con fatica e sudore sapendo di doverlo diventare e dedicandosi a questo anima e corpo, in forte contrapposizione con i protagonisti di altre storie che sono extraterrestri con super poteri o assurgono al loro ruolo dando per scontato un back ground di patimenti e strenui allenamenti per diventare ciò che la storia richiede, Arin diventa eroe a poco a poco con fatica fisica, temprando il suo spirito nelle battaglie con vittorie e perdite, un bel messaggio per i piccoli fruitori del cartone animato. •

pubblicato su Fantazone n° 29 – ottobre 2014

Better than us

Better than us

Titolo originale:
Luchshe, chem lyudi

Paese: Russia
Anno: 2018 – in corso
Stagioni: 2
Episodi: 16
Produttore: Vitali Shlyappo, Eduard Iloyan, Aleksei Trotsyuk, Denis Jalinskiy, Mikhail Tkachenko, Eduard Gorbenko, Aleksander Kessel
Casa di produzione: BYW Group
Trasmissione ITA: Netflix

Interpreti e personaggi

Paulina Andreeva: Arisa
Kirill Käro: Georgy Safronov
Aleksandr Ustyugov: Viktor Toropov
Olga Lomonosova: Alla Safronova
Eldar Kalimulin: Egor Safronov
Vita Kornienko: Sonya Safronova
Aleksandr Kuznetsov: Bars (Barsenev)
Vera Panfilova: Zhanna Barseneva

 

Fedor Lavrov: Gleb
Sergey Sosnovsky: Alexey Stepanovich Losev
Pavel Vorozhtsov: Igor Mikhailovich Maslovsky
Irina Tarannik: Svetlana Toropova
Sergey Kolesnikov: Anatoly Vladimirovich Svetov
Kirill Polukhin: Pavel Borisovich Varlamov
Viktoriya Korlyakova: Irina Plescheeva
Mariya Lugovaya: Larisa ‘Lara’ Kuras

di Michela Barotto

Russia. In un futuro non molto distante dal nostro i robot dall’aspetto umano sono diventati parte della vita quotidiana degli essere umani. Molte famiglie ne possiedono uno a cui fanno svolgere mansioni di collaborazione domestica, altri robot vengono utilizzati per svolgere lavori più umili o pericolosi, altri ancora vengono creati e programmati per essere utilizzati a scopo sessuale. Tutti i robot sono accomunati dalle stesse caratteristiche: rispettano le 3 note leggi della robotica e non manifestano alcun sviluppo empatico o emozionale.
Il business della costruzione di androidi è molto redditizio e competitivo, l’azienda Cronos (tra le più note in Russia) entra in possesso di un nuovo tipo di androide la cui programmazione però non è del tutto nota. La mancanza di scrupoli del direttore Viktor Toropov porta l’azienda a decidere di presentare il prima possibile il nuovo e innovativo modello di androide per sbaragliare la concorrenza sul mercato, pur non conoscendone appieno tutti gli aspetti e senza nemmeno la certezza di riuscire a replicare altri soggetti per la vendita.
Alcuni eventi gravi riveleranno presto che l’androide (che prende il nome di Arisa) non è vincolata dalle leggi della robotica e sembra manifestare una comprensione dei sentimenti umani essendo stata progettata per essere membro di una famiglia e protettrice della famiglia stessa. Arisa fugge dalla sede della Cronos, incontra accidentalmente una bambina di nome Sonia e seguendo la propria programmazione registra la bambina come membro della sua famiglia. Da questo momento in poi la storia della famiglia di Sonia (composta dal padre Georgy Safronov, dalla madre Alla e dal fratello maggiore Yegor) si intreccia con gli intrighi aziendali della Cronos e con le azioni del gruppo terroristico chiamato “Liquidatori” che con le loro azioni vogliono eliminare gli androidi perchè, a loro dire, stanno sostituendo l’essere umano in tutti i livelli della società, sottraendo anche possibilità di lavoro. A complicare la situazione c’è anche la polizia che iniziando ad indagare sulle azioni del gruppo terroristico arriva a scoprire un omicidio avvenuto all’interno della Cronos, evento che sembra tutti vogliano mantenere segreto.

Anche grazie a Netflix possiamo oggi dare uno sguardo a produzioni televisive un po’ diverse dallo stile a cui siamo abituati. Better than us (in originale Luchshe, chem lyudi traducibile in “migliori degli umani”) è un prodotto di buon livello in cui è evidente l’investimento economico non proprio al risparmio fatto dalla produzione (russa al 100%). La narrazione non è particolarmente innovativa o avvincente, lo svolgimento della storia è abbastanza prevedibile e la recitazione un po’ piatta dei protagonisti non aiuta lo scorrimento degli episodi. Nonostante ciò incuriosisce sicuramente chi si nutre di serie televisive e vuole assaggiare un gusto nuovo. L’ambientazione non si discosta molto dalla nostra attualità, a parte gli androidi e qualche aspetto tecnologico un po’ moderno i russi vanno in giro con automobili che possiamo vedere oggi in circolazione. Nessun futuro avveniristico quindi ma solo uno sguardo ad un possibile futuro distante da noi 10-15 anni.
Al momento sono state prodotte e distribuite due stagioni composte da 8 episodi, c’è un po’ di confusione a riguardo perchè le stagioni sono due ma Netflix ha pubblicato i 16 episodi come 1° stagione. •

pubblicato su Fantazone n° 41 – novembre 2019

Uomo al piano zero – Urania n° 596

Uomo al piano zero – Urania n° 596

Titolo originale:
Ground zero man

Lingua originale: inglese
1° ed ORIGINALE.: 1971
1° ed. ITALIANA : 1972
Autore: Bob Shaw
Copertina: Karel Thole
Editore IT: Mondadori

URANIA n° 596

di Giuliana Abbiati

Racconto un po’ datato ma con un’idea di base, a ben vedere, sempre attuale.
Se aveste l’opportunità di distruggere tutte le bombe atomiche – distruggere, proprio nel senso di farle saltare in aria – come vi comportereste?
Escludendo il lato economico o di puro potere personale e volendo utilizzare questa nuova arma con un unico intento umanitario, si avrebbe nelle proprie mani l’incredibile possibilità di eliminare tutti gli armamenti su tutta la terra mettendo così fine a ogni guerra e sottraendo il nucleare a tutte le nazioni.
Ma come fare? Uno dei grossi problemi di questa storia è riuscire ad accedere agli uomini importanti, a guadagnarsi la loro credibilità sia sulla esistenza che sull’effettivo potere di questa arma. Inoltre, bisognerebbe anche evitare che solamente uno dei paese interessati si guadagni l’utilizzo della stessa causando così un danno più grave del previsto.
In effetti è un racconto alquanto particolare, e nonostante siano passati quasi 50 anni dalla pubblicazione sarebbe una questione di difficile soluzione anche attualmente.
Il nostro inventore non è un pezzo grosso, non lavora per la CIA o altre società governative né conosce persone potenti; è semplicemente un matematico che riesce, attraverso una serie di calcoli, a concepire e quindi a costruire una macchina in grado di distruggere – volendo – tutte le bombe nucleari sulla terra. La sua idea fissa diventa così l’eliminazione di tutte le bombe in un colpo solo attraverso questa sua macchina, ma far detonare tutte insieme le centinaia di bombe atomiche in un solo momento creerebbe un disastro apocalittico. Per questo motivo il nostro matematico invia un ultimatum entro cui la nuova arma verrà messa in azione e, nel caso in cui, i governi non l’avessero preso sul serio egli farà esplodere i missili che nel frattempo non saranno stati smantellati facendo così danni inimmaginabili agli stati che non gli hanno creduto.
Egli non chiede soldi, non chiede fama, ma solo la pace nel mondo e, paradossalmente, se non starà ben attento o se non sarà abbastanza credibile, potrebbe commettere un disastro di proporzioni apocalittiche.
Sembra in effetti più una tematica dei “confini della realtà” e l’epilogo poco chiaro non aiuta di molto il lettore a capire la sviluppo del finale anche se, alla fine, dopo il trambusto, le corse, gli inseguimenti, i sotterfugi, le sparatorie, tutto quello che il matematico riuscirà a raggiungere, la fase finale del racconto sarà la creazione di un ulteriore dispositivo di sicurezza per evitare scherzi del genere in un prossimo futuro.
Tutto questo correre per niente? Beh, in realtà la domanda resta. Se a un uomo qualsiasi viene data la possibilità di cambiare il mondo, fino a che punto verrà ascoltato? •

pubblicato su Fantazone n° 42 – ottobre 2020

immagine di copertina by pixabay.com