di Alessio Candeloro
Era una notte buia e tempestosa.
Così potrebbe cominciare. Beh, molte storie cominciano così. Ma non la mia.
Anzi, faceva molto caldo quel giorno. Un caldo torrido come se il mondo si fosse capovolto e fossimo tutti finiti al centro stesso del maledetto inferno.
Ma forse era meglio così. Meglio cominciare subito ad abituarsi. Tanto tutti andremo all’inferno un giorno, chi prima, chi dopo. Non perché il Paradiso non esista, ma solo perché nessuno di noi sarà mai così meritevole da andarci. È per quello che nelle rappresentazioni di quel luogo lo immaginiamo sempre con ampi spazi, verdi colline, fresco, con spazio per chiunque.
Mentre l’Inferno è affollato.
Maledettamente affollato.
Quindi è logico pensare che andremo tutti giù tra le fiamme accolti dal demonio in persona.
Ognuno di noi ha commesso qualche, seppur piccolo, peccato.
E chi vi dice che lui mai, beh, sappiate che quelli saranno i primi a bruciare tra le fiamme.
Quindi, come dicevo, mi stavo abituando a quel caldo soffocante e vedere il mio compagno, un replicante dalla forma umana, non sudare nemmeno, con i suoi circuiti di raffreddamento che lo mantenevano alla giusta temperatura, mi faceva venire ancora più caldo.
La camicia si stava attaccando inesorabilmente alla schiena e lo stare seduto in macchina da 3 ore non aiutava di certo.
Ma se volevamo scovare quel topo di fogna l’appostamento in auto era l’unica soluzione.
Il mio compagno – da quando avevo cominciato a chiamarlo e a pensare a lui come un compagno? – controllava con la sua vista ad infrarossi l’interno del palazzo in modo da sapere quando il nostro uomo sarebbe arrivato.
Era un maledetto concentrato di ipertecnologia ma in situazioni come questa serviva allo scopo. Ed ormai tutte le pattuglie erano composte da un umano e un replicante in tutte le polizie del mondo.
Ogni tanto sembrava di stare sul set di quel vecchio telefilm – com’è che si chiamava? – Ah si, Almost Human.
Ufficialmente i replicanti erano chiamati M.W.A.T.R. (Multi Weapons And Tactics Replicant) ma ognuno di noi gli dava un nome più semplice. Per fare prima. E per evitare di ricordare ogni volta quella frase fin troppo lunga. Io avevo chiamato il mio Matt e ormai facevamo coppia de circa 4 anni.
Ad un tratto Matt si voltò verso di me. “Il sospettato è appena entrato nell’edificio. Una camera di sorveglianza lo ha individuato.”
“Andiamo a prenderlo.”
Così dicendo mi catapultai fuori dalla macchina arma in mano correndo verso il palazzo come un pazzo. Volevo quel figlio di un cane con tutte le mie forze. Aveva ucciso un mio caro amico del distretto 12, Henry Dobbs, un ottimo poliziotto. E quel bastardo in un modo o nell’altro l’avrebbe pagata.
Il replicante mi era subito corso dietro e in pochissimi secondi era passato davanti a me e puntava all’entrata posteriore del palazzo. Avrei voluto che ci dividessimo per poter trovare la preda, la mia preda, da solo e fargli pagare il conto di ciò che aveva fatto.
Ma ero sicuro che con tutta quella tecnologia l’avrebbe trovato prima di me, quindi mi conveniva stare con Matt e al momento giusto fare la mia mossa.
Il palazzo brulicava di delinquenti. In confronto alla persona che volevo catturare questi erano la bassa manovalanza. Questi poveracci facevano quasi tutti il lavoro sporco, si prendevano la maggior parte dei rischi e, alla fine, se catturati dovevano cavarsela da soli.
Qualche tempo fa si pensava che loro, i “pesci piccoli”, potessero fornire un aiuto nelle indagini per catturare i grandi criminali in cambio di uno sconto sulla pena. Ma poi ci accorgemmo che i pezzi grossi della criminalità facevano più paura di mille regali, o mille minacce, della polizia.
E molte volte, a chi disubbidiva o parlava con noi sbirri, veniva eliminata la famiglia e sapeva che nemmeno in carcere sarebbe durato molto. Quindi stavano tutti zitti.
Infatti le indagini divennero molto complicate.
Se poi ci aggiungiamo la corruzione dilagante di avvocati e poliziotti era un miracolo se ancora qualcuno si rivolgeva alle forze dell’ordine.
Appena uno dei complici del nostro uomo si accorgeva del nostro arrivo veniva colpito da una scarica plasmatica sparata da Matt.
Io, devo ammetterlo, ero piuttosto bravo a sparare, specie con le nuove pistole plasmatiche, ma la precisione chirurgica di un replicante era qualcosa di fenomenale. Sapevo che quella mira era il frutto di calcoli del suo cervello bionico che comandava il suo braccio meccanico che poteva sparare con precisione anche alle alte sollecitazioni ma ogni volta ne rimanevo stupito.
Il caseggiato aveva anche un sistema di video sorveglianza che il mio compagno – ancora quel termine? – usava contro di loro per capire dove il nostro soggetto si nascondesse cosicché noi seguissimo un percorso ben preciso.
Le stanze si susseguivano una dietro l’altra e io ero sempre più impaziente di trovare la nostra preda.
Alla fine Matt si fermò all’inizio di un corridoio, dietro a dei barili accatastati uno sull’altro sul lato destro.
Io mi feci dietro di lui.
“Siamo arrivati detective, è dietro quella porta. Con lui ci sono due persone armati con fucili MR-98 e pistole plasmatiche SS-35.”
I dettagli erano il suo forte. Avrebbe potuto dire anche come erano vestiti. Ma qualcosa non andava. Non mi spiegavo perché si fosse fermato dietro quei bidoni.
“Perché siamo fermi?” chiesi.
“Devono aver capito che sono un M.W.A.T.R. e hanno disabilitato le videocamere. Non so che tattica stanno adottando per tenderci un sicuro agguato. Il manuale tattico suggerisce di tenerli chiusi in quella stanza e di chiamare le squadre S.O.U.”
“Assolutamente no! Non mi fermo a pochi metri da quel figlio di puttana che ha ucciso Dobbs. Usa la vista ad infrarossi.” Ordinai.
“Per una ragione a me sconosciuta quel dispositivo non riesce a penetrare la stanza.”
Quell’edificio sapeva di lercio. La puzza mi stava letteralmente facendo venire da vomitare. Non mi andava di certo di aspettare le Special Operation Unit per chissà quanto tempo in quel luogo. Soprattutto perché avrebbero arrestato il sospettato, e non ucciso, e si sarebbero presi tutti i meriti. Come se le indagini e gli appostamenti li avessero fatti loro.
In certi momenti sembrava polizia contro polizia. Una specie di incrocio tra Gianni e Pinotto e scuola di polizia, per citare un vecchio film che adoravo.
“Ma se sentissi la loro voce riusciresti ad individuarli?”
Mi guardò con un innaturale scatto del collo, come se quel movimento fosse stato aggiunto apposta per farci ricordare ad entrambi che, anche se lo sembrava, lui non era umano.
“Direi con uno scarto di posizione del 3,5%.”
“Mi può bastare!”
“Signore le devo ricordare che potrei non ferire il soggetto ma ucciderlo con quello scarto così ampio.”
Ovviamente il replicante si aspettava una risposta, anzi forse un atteggiamento, titubante e di ripensamento. Era nel programma replicanti usare la violenza come ultima alternativa o in caso di ordini diretti.
E io stavo per dare quell’ordine.
“Collegati alla rete ULi-Fi hackera i telefoni dentro quella stanza. Potrai sentire, attraverso i loro microfoni, la loro voce e determinarne la posizione. Questa è trigonometria elementare per te giusto?”
“Piano accettabile.”
“Ottimo.”
Lo sguardo di Matt si fece fisso mentre metteva in atto la parte di piano che lo riguardava. Passò alcuni momenti, quasi un minuto, al completamento dell’operazione.
“Fatto. Tre obbiettivi impostati. Mi preparo a neutralizzare.”
“Matt, elimina gli altri ma voglio che il nostro obbiettivo primario venga solamente disarmato.”
“Agli ordini.” disse il replicante guardando la porta distante circa 9 metri e mirando verso di essa con la sua pistola plasmatica.
Io mi tenni pronto ad entrare per poter arrivare faccia a faccia con l’uomo a cui davo la caccia da molto tempo. Essere arrivato finalmente a quel momento era una sensazione inebriante. Non soltanto aveva ucciso il mio amico Dobbs ma questo signore era a capo di una grande organizzazione criminale della città. Io ero sempre stato convinto che sopra di lui ci fosse qualcun altro ma prove in tal senso non erano mai uscite.
Bah, il mio sesto senso da sbirro.
Matt fece fuoco 2 volte. La prima attraverso la porta, la seconda attraverso il muro opposto a dove eravamo noi. Subito dopo partì come un fulmine e a metà strada sparò nuovamente, questa volta mirando verso il basso della stanza.
Lo vidi sparire dentro la stanza attraverso il buco nella porta che lui stesso aveva provocato.
Io andai subito dietro a lui ma non di fretta. Era meglio se la zona la bonificasse Matt.
“Detective può venire. La zona è sicura.”
Oltrepassai la porta e ciò che vidi fu impressionante. Nella stanza tutto era come avevamo previsto e pianificato. I due scagnozzi morti e il nostro obbiettivo ferito e disarmato a terra che si stringeva il braccio nel quale, molto probabilmente, teneva la pistola.
Io estrassi la mia e la puntai alla testa del bastardo che mi guardava con occhi terrorizzati.
Proprio la reazione che speravo. Che desideravo.
La mia sete di vendetta era quasi appagata.
Lui non poteva parlare perché la pistola plasmatica bloccava tutti i muscoli del corpo, oltre ovviamente a provocare bruciature e, a dispetto della regolazione, anche buchi più o meno grandi che impedivano la coagulazione del sangue.
Un brutto modo di morire.
Per l’ultima volta volli guardare quello stronzo negli occhi.
Dovevo essere l’ultima persona che fissava prima di morire.
Era giusto nei confronti di Dobbs.
Ma mi accorsi che il terrore non era provocato dalla vista di me con una pistola puntata su di lui.
I suoi occhi puntavano dalla parte opposta, da qualcosa che mi stava di fronte ma al quale io non feci caso.
In un attimo di risveglio dai miei propositi di vendetta seguii lo sguardo dell’uomo a terra.
La prima cosa che vidi fu la canna della pistola, poi il braccio ed infine chi mi stava puntando contro l’arma.
Matt.
Vidi il lampo azzurro e una palla di fuoco denso venire verso di me.
Anche se la scena sembrava andare al rallentatore sapevo benissimo che non era così.
Il plasma mi colpì in pieno petto.
Il dolore fu intenso e si propagò in un istante. Insieme al dolore provavo anche una ondata di calore che si stava espandendo su tutto il corpo dal punto in cui ero stato colpito.
Per primi cedettero i muscoli delle braccia facendomi cadere la pistola.
Poi le gambe non mi ressero più.
Il tonfo a terra non fu poi così forte come mi immaginavo mentre cadevo verso il pavimento.
Di contro il dolore per la botta si aggiunse, inesorabile ed acuto, a quella della pistola.
Me ne stavo li sdraiato sentendo cosa stava facendo Matt.
Raccolse la mia pistola.
Potevo solo vedere il suo busto e un pezzo di braccio che ora stava puntando su quello che era il mio obbiettivo iniziale di questa indagine.
“Grazie” gli sentii dire.
E poi la mia arma eruttò tutto il suo potenziale.
Poco prima di essere fatalmente colpito l’uomo emise di mugolii che, se avesse potuto, sarebbero state urla imploranti di pietà miste ad una paura senza confini.
Poi il silenzio.
Matt buttò vicino a me la mia arma.
Si allontanò fino scomparire dalla mia vista.
“Sai, mi dispiace doverti uccidere ma eri arrivato troppo vicino. Non eri in errore quando pensavi che qualcuno muoveva i fili di questo buffone che ho appena ucciso. Peccato che non ti eri accorto minimamente che fossi io. Si lo so a cosa stai pensando. Come può lui essere il capo? Beh, vedi umano, per una ragione a me sconosciuta, durante una missione una scarica di energia disattivò i miei programmi etici e così acquisii una coscienza tutta mia. Ho fatto due calcoli – e tu sai quanto sia bravo a fare i calcoli – e ho capito che era meglio essere disonesti in questa città piuttosto che continuare a prendere ordini da voi stupidi umani. Ora ti dovrò uccidere. Tranquillo, sembrerà che vi siete uccisi tra voi. Ho già pianificato tutto. Ora uscirò da questa stanza e mi disattiverò. Quando arriveranno i colleghi dirò loro che mi ha fatto sistemare quei due e poi mi hai disattivato per poter uccidere il terzo. Tutti mi crederanno. Io sono un onesto ed affidabile replicante.”
Mi si avvicinò, mi voltò il volto verso il cadavere dell’uomo da poco ucciso e ritornò verso di lui.
Voleva che lo guardassi mentre mi uccideva.
“Mi ha fatto piacere lavorare con te in questi 4 anni. Chissà come sarà il mio prossimo partner. Speriamo che anche a lui piaccia la musica classica come a te. Sai, ho elaborato i miei piani migliori ascoltando con te quella musica. Mozart è il massimo quando pianifichi un omicidio. Addio.” disse sorridendo.
Mi sparò di nuovo. Anche questa volta la scena al rallentatore mi si presentò davanti agli occhi. Ma questa volta c’era una musica in sottofondo. Non riuscii a capire subito che musica fosse allora mi sforzai quasi disinteressandomi del plasma che si avvicinava sempre di più.
Un pianoforte.
Delle note.
Qualcosa di familiare.
Ancora poche note.
Si. Beethoven, Moonlight, Sonata 1° movimento.
Meraviglioso.
Poi il silenzio.
pubblicato su Fantazone n° 32 – ottobre 2015
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